Analisi-inchiesta: EuroBang e diritti. Verso la Costituzione europea
Arturo Salerni
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5. I principi fondamentali
Nei primi sedici articoli del trattato costituzionale sono
contenuti i principi fondamentali distinti in tre titoli: “definizione e
obiettivi dell’Unione”, “diritti fondamentali e cittadinanza dell’Unione”,
“competenze dell’Unione”.
L’art.1 del progetto - “Istituzione dell’Unione”
contiene i seguenti tre commi: “Ispirata dalla volontà dei popoli e
degli Stati d’Europa di costruire il loro futuro comune, la presente
Costituzione istituisce un’Unione [1], in seno alla quale le politiche
degli Stati membri sono coordinate, che gestisce, sul modello federale, talune
competenze comuni.
L’Unione rispetta l’identità nazionale dei suoi Stati
membri.
L’Unione è aperta a tutti gli Stati europei i cui popoli
condividono gli stessi valori, li rispettano e si impegnano a promuoverli
congiuntamente”.
In questa formulazione sono contenuti e riconoscibili alcuni
passaggi chiave: la possibilità di un ulteriore allargamento rispetto all’Europa
dei venticinque (terzo comma), il richiamo - almeno nominalistico - ad un
modello federale, preferito rispetto ad un modello unionista, la previsione di
un sistema a più livelli entro il quale l’Unione convive e coopera con gli
Stati nazionali.
L’art. 2 indica i “valori dell’Unione”: “L’Unione
si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, di libertà, di
democrazia, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti dell’uomo,
valori che sono comuni agli Stati membri. Essa mira ad essere una società
pacifica che pratica la tolleranza, la giustizia e la solidarietà”.
L’art. 3 indica invece gli “obiettivi dell’Unione”:
“L’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere
dei suoi popoli”.
L’Unione si adopera per un’Europa improntata ad uno
sviluppo sostenibile basato su una crescita economica equilibrata e la giustizia
sociale, in un contesto di mercato unico libero, ed un’unione economica e
monetaria, con l’obiettivo di ottenere la piena occupazione e di produrre un
livello di competitività e un tenore di vita elevato. Essa promuove la coesione
economica e sociale, la parità tra donne e uomini e la protezione ambientale e
sociale e coltiva il progresso scientifico e tecnologico, ivi compresa la
scoperta spaziale. Essa favorisce la solidarietà tra le generazioni e tra e gli
Stati e le pari opportunità per tutti.
L’Unione costituisce uno spazio di libertà, sicurezza e
giustizia, nel quale sono sviluppati i suoi valori condivisi e viene rispettata
la ricchezza della sua diversità culturale.
Nel difendere l’indipendenza e gli interessi dell’Europa,
l’Unione si adopera per promuovere i suoi valori sulla scena mondiale. Essa
contribuisce allo sviluppo sostenibile della terra, alla solidarietà ed al
rispetto reciproco tra i popoli, all’eliminazione della povertà e alla tutela
dei diritti dei bambini, alla rigorosa osservanza degli impegni giuridici
accettati a livello internazionale e alla pace tra gli Stati.
Tali obiettivi sono perseguiti con i mezzi appropriati, in
funzione delle pertinenti competenze che la presente Costituzione attribuisce
all’Unione”.
Con riferimento al testo proposto per l’articolo 3 è
possibile svolgere alcune considerazioni.
Innanzitutto è importante - specie nel contesto attuale - il
richiamo alla promozione della pace tra gli obiettivi dell’Unione. Ma manca
evidentemente - sul punto - quell’elemento pregnante e vincolante del “ripudio
della guerra” come “strumento di risoluzione delle controversie
internazionali” che è invece contenuto nell’art. 11 della nostra
Costituzione. Si è optato per una indicazione non priva di valore ma certamente
generica.
L’espressa indicazione del “contesto di mercato unico
libero” è da un lato il segno dei tempi (e dell’affermazione dell’ideologia
del mercato libero, scossa ma non ancora incrinata dal recente affacciarsi di
movimenti di massa fortemente critici nei confronti del neo-liberismo) e dall’altro
reca in sé l’impronta storica di un percorso che vede i primi vagiti dell’idea
unitaria dell’Europa nell’affermarsi di un’area di mercato europea. E
così l’inserimento dell’espressione “produrre un livello di
competitività” elevato - collegata all’obiettivo del “tenore di
vita elevato” - richiama (nell’indicazione degli obiettivi del soggetto
unitario) le stesse impronte ed il medesimo percorso, sia pur temperato dal
richiamo “ad uno sviluppo sostenibile basato su una crescita economica
equilibrata” ed alla “giustizia sociale”. Collegato al concetto
della giustizia sociale è l’obiettivo della piena occupazione, che viene
assunto ad elemento centrale delle politiche che l’Unione deve sviluppare.
Manca un espresso richiamo al diritto internazionale,
sostituito dal concetto - più vago - della “rigorosa osservanza degli
impegni giuridici accettati a livello internazionale”.
6. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea,
ovvero la Carta adottata a Nizza nel dicembre del 2000, è richiamata dall’art.
5 del progetto di Costituzione e ad essa va dedicata una particolare attenzione,
anche in relazione al fatto che la sua sussunzione nel corpo del trattato
costituzionale dovrebbe determinare il superamento del dibattito sviluppatosi
intorno alla sua effettiva applicabilità nell’ambito degli ordinamenti dei
Paesi che aderiscono all’Unione.
È importante richiamare nella sua interezza il “preambolo”
della Carta: “I popoli europei nel creare tra loro un’unione sempre più
stretta hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni.
Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, L’Unione
si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di
uguaglianza e di solidarietà; l’Unione si basa sui principi di democrazia e
dello stato di diritto. Essa pone la persona al centro della sua azione
istituendo la cittadinanza dell’Unione e creando uno spazio di libertà,
sicurezza e giustizia.
L’Unione contribuisce al mantenimento di questi valori
comuni, nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei
popoli europei, dell’identità nazionale degli Stati membri e dell’ordinamento
dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale; essa cerca di
promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile e assicura la libera
circolazione delle persone, dei beni, dei servizi e dei capitali nonché la
libertà di stabilimento.
A tal fine è necessario, rendendoli più visibili in una
Carta, rafforzare la tutela dei diritti fondamentali alla luce dell’evoluzione
della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e
tecnologici.
La presente carta riafferma, nel rispetto delle competenze e
dei compiti della Comunità e dell’Unione e del principio di sussidiarietà, i
diritti derivanti in particolare dalle tradizioni costituzionali e dagli
obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dal trattato sull’Unione
europea e dai trattati comunitari, dalla convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dalle carte sociali
adottate dalla Comunità e dal Consiglio d’Europa, nonché i diritti
riconosciuti dalla giurisprudenza della corte di Giustizia delle Comunità
europee e da quella della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Il godimento di questi diritti fa sorgere responsabilità e
doveri nei confronti degli altri come pure della comunità umana e delle
generazioni future.
Pertanto l’Unione riconosce i diritti, le libertà ed i
principi enunciati qui di seguito”.
Anche in questo caso, pur richiamando il riconoscimento delle
libertà, il valore della solidarietà ed i principi di democrazia, quali
elementi caratterizzanti il patrimonio civile dell’Europa, ciò che assume
pieno rilievo è la libera circolazione di beni, servizi e capitali. Vi è
inoltre l’importante indicazione - che si ricollega all’obiettivo di “promuovere
uno sviluppo equilibrato e sostenibile” - dei doveri da assumere nei
confronti “delle generazioni future”.
La Carta dei diritti fondamentali è suddivisa in sette capi
(Dignità, Libertà, Uguaglianza, Solidarietà, Cittadinanza, Giustizia,
Disposizioni generali). Tra le disposizioni generali è particolarmente
significativa quella contenuta nell’art.53, per cui “nessuna disposizione
della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo
ambito di applicazione, dal diritto dell’Unione, dal diritto internazionale,
dalle convenzioni internazionali delle quali l’Unione, la Comunità o tutti
gli Stati membri sono parti contraenti, in particolare la convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e
dalle costituzioni degli Stati membri”. Il che tra l’altro comporta che
qualora diritti e libertà abbiano un più forte riconoscimento all’interno
delle costituzioni degli Stati membri dell’Unione rispetto a quanto previsto
dalla Carta dei Diritti fondamentali prevale la disposizione contenuta nel testo
costituzionale nazionale.
Nell’ambito del primo capo vi è l’importante indicazione
di cui al secondo comma dell’art. 2 [2] relativa al ripudio della pena di
morte, che quindi diventa elemento caratterizzante ed insuperabile dell’Unione,
e di cui si è vista la pratica applicazione in Turchia (con l’abolizione
della pena di morte e la commutazione di questa nella pena dell’ergastolo nel
caso del leader curdo Abdullah Ocalan) [3].
Accanto alle previsioni caratteristiche delle moderne
costituzioni, si affacciano nella Carta i cosiddetti diritti di ultima
generazione. Ne è un esempio il secondo comma dell’art. 3: “Nell’ambito
della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati:
- il consenso libero e informato della persona
interessata, secondo le modalità definite dalla legge;
- il divieto delle pratiche eugenetiche, in particolare di
quelle aventi come scopo la selezione delle persone;
- il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in
quanto tali una fonte di lucro;
- il divieto della clonazione riproduttiva degli essere
umani.”
Ed è ancora significato sotto tale profilo quanto contenuto nell’art. 8,
(titolato “protezione dei dati di carattere personale”) [4], o la previsione di cui al secondo comma dell’art.11 (“La
libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati”). Si tratta di
disposizioni contenute nel capo II (“Libertà”).
Nello stesso capo troviamo due disposizioni (articolo 18 “Diritto
di asilo” e art. 19 “Protezione in caso di allontanamento, di
espulsione e di estradizione”) che riguardano, a diverso titolo, le
questioni attinenti ai cittadini provenienti da Paesi esterni all’Unione
Europea.
7. La fortezza Europa
Procede inesorabile l’integrazione dei mercati e delle
economie a livello planetario; al tempo stesso si intensificano le
contraddizioni prodotte dal modello di sviluppo neoliberista, crescono la
povertà e le diseguaglianze, sempre più ampie divengono le spinte di carattere
economico sociale alle migrazioni. Miserie, diseguaglianze, fame, dittature,
guerre spingono milioni di persone ad andar via dalla propria terra e a cercare
rifugio e/o prospettive in altri luoghi, in altri continenti. Ma a questo
movimento profondo, che attraversa la terra, che ha cause profonde, si
contrappongono le politiche dei paesi ricchi, che trasformano in reato il
movimento delle persone, che considerano il migrante poco meno che un criminale,
che creano nuove artificiose barriere. Ciò non porta al blocco o all’impedimento
del flusso migratorio, ma a rendere i migranti dei quasi-cittadini, sempre
ricattabili, privi di diritti, precari per eccellenza. In molti, troppi,
muoiono, ai confini tra il Messico e gli Stati Uniti o annegati nel Canale di
Sicilia o al largo delle coste pugliesi, non importa se uomini, donne, bambini,
giovani o anziani, respinti da una feroce legislazione proibizionistica, che
certamente la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea non
contribuisce a superare e neanche ad incrinare.
Occorre chiedersi: ma chi e cosa provoca queste morti, chi
supera la barriera viene dapprima inseguito e perseguito, poi lentamente
inserito nei gironi infernali dei lavori più umili e massacranti, senza tutele
e senza protezione sindacale, impossibilitato a reclamare, additato come colui
che toglie lavoro, risorse, servizi, ai cittadini più poveri dei paesi di
approdo. Le leggi che bloccano le frontiere producono morti, sono leggi
assassine: politiche incisive e programmi di riforme sul terreno dell’immigrazione
devono partire da un radicale rifiuto del proibizionismo, che deve attraversare
l’intero continente per arrivare al superamento delle norme che trasformano in
crimini semplici irregolarità amministrative, delle leggi per cui la mancanza
di un visto d’ingresso o di un permesso di soggiorno diventa un delitto. Ai
tanti drammi che comunque l’immigrazione produce, al doloroso distacco dalla
propria terra, si aggiunge l’effetto devastante e omicida delle barriere
costruite dagli uomini.
Il nostro Paese continua ormai da più di un decennio a
produrre norme sul terreno dell’immigrazione all’interno di una logica
proibizionista e criminalizzante, e l’ultima legge in materia - approvata dal
centro destra nel corso del 2002 - aggrava le previsioni contenute nel testo
unico varato dal centro sinistra nel 1998 e giunge ad un ulteriore stretta: con
l’introduzione del contratto di soggiorno (art.5 bis del testo unico) si entra
e si resta in Italia solo se si ha un lavoro, se invece si perde il lavoro si va
via dall’Italia. Sei escluso ed espulso dal paese anche se in Italia vivi da
anni, se qui si sono stabiliti i tuoi figli, se qui si sono costruiti amicizie,
amori, affetti, ricordi. In un panorama che vede i rapporti di lavoro sempre
più caratterizzati da flessibilità e precarietà, al cittadino straniero si
chiede di avere un lavoro necessariamente stabile, di lunga durata; se il lavoro
finisce, lo straniero deve abbandonare il paese, a meno che in tempi
ridottissimi non riesca a trovarne un altro, subordinato e a tempo
indeterminato. Al di là della descrizione propagandistica di una legge mirata a
reprimere il fenomeno della clandestinità, si è prodotto un peggioramento
delle previsioni normative per tutte le diverse categorie di cittadini
stranieri: aggravamento delle condizioni per chi entra o vuole entrare nel
territorio nazionale, per chi è irregolare, per chi chiede asilo, per chi
soggiorna regolarmente in Italia. Si inaspriscono le procedure per le
espulsioni, si restringe la possibilità dei ricongiungimenti familiari, si
allontana la possibilità di accedere ad alcuni diritti fondamentali. Al tempo
stesso però ci si arrende all’evidenza: su pressione delle famiglie, delle
imprese, dei sindacati si mette in campo la più estesa sanatoria mai attuata
nel nostro paese da quando l’immigrazione è divenuta un consistente fenomeno
sociale, economico e produttivo.
Il cittadino straniero che incappa nel sistema penale (nel
processo e nel carcere) è praticamente un soggetto senza diritti e senza
difesa, quasi impossibilitato ad accedere - nell’ipotesi di condanna a pena
detentiva - a misure alternative al carcere, per il quale - sia pure ad esito di
un positivo percorso di riabilitazione - all’espiazione della pena segue
necessariamente l’espulsione. È il dramma di una situazione che vede una
sproporzionata presenza di cittadini stranieri nelle nostre carceri
sovraffollate, e nella quale il carcere diviene il contenitore delle situazioni
di emarginazione sociale ed il diritto penale l’arma finalizzata a combattere
le emergenze, vere o presunte. Le campagne di stampa ricorrenti che vedono lo
straniero come il soggetto che turba la tranquillità dei nostri territori, il
grande battage trasversale contro la cosiddetta microcriminalità,
contribuiscono ad alimentare un clima nel quale la cultura dei diritti (ed in
primo luogo dei diritti all’interno dei penitenziari) e delle garanzie vengono
additate come causa dell’insicurezza sociale.
Il tutto si verifica in una situazione nella quale si tende ad introdurre con
sempre maggiore asprezza ipotesi di reato dai contorni indefiniti. Parliamo
delle involuzioni legislative in tema di terrorismo internazionale. Involuzioni
che ricadono sul nostro ordinamento interno, a partire dalle produzioni
normative internazionali e comunitarie congegnate in modo tale da colpire anche
le espressioni organizzate di dissenso e di contrapposizione agli organismi
internazionali, divenuti i luoghi dominati dall’ideologia e dalla pratica del
libero scambio senza barriere [/b].
8. Diritti del lavoro, diritti sociali, nuovi diritti
Il capo IV (“Solidarietà”) della Carta è quello
che concerne i diritti del lavoro e l’azione sindacale, e merita una
particolare attenzione in relazione al tema su cui maggiormente si sofferma la
nostra rivista.
Ai sensi dell’art.27 “ai lavoratori o ai loro
rappresentanti devono essere garantite, ai livelli appropriati, l’informazione
e la consultazione in tempo utile nei casi e alle condizioni previsti dal
diritto comunitario e dalle legislazioni e prassi nazionali”. Quindi da un
lato viene affermato il diritto dei lavoratori all’informazione e alla
consultazione nell’ambito dell’impresa, dall’altro tale diritto diviene
relativo con il rinvio alle previsioni del diritto comunitario e delle
legislazioni nazionali, ed addirittura alle prassi nazionali. È una tecnica che
ritroviamo in tutta la parte della Carta dedicata ai diritti del lavoro.
[1] Viene lasciata aperta la questione
della denominazione dell’entità, ovvero se Comunità Europea, Unione europea,
Stati Uniti d’Europa, Europa unita.
[2] “Nessuno può essere condannato alla
pena di morte, né giustiziato”.
[3] Sulla vicenda si è espressa - con una
condanna emessa nel mese di marzo del 2003 nei confronti della Turchia per
violazione delle disposizioni contenute nella Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo - La Corte europea di Strasburgo.
[4] “Ogni
individuo ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che lo
riguardano.
Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per
finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o un altro
fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni individuo ha il diritto di
accedere ai dati raccolti che lo riguardano e di ottenerne la rettifica.
Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un’autorità
indipendente”.
[/b] Proteo n.3/01, cit.: “Un esempio di
cosa significhi il rapporto tra produzione normativa a livello europeo e
legislazione del nostro Paese è ricavabile dalla vicenda delle disposizioni
dettate per contrastare il cosiddetto “terrorismo internazionale”. Essa si
colloca nella vicenda della costruzione dello “spazio giuridico europea”,
vicenda controversa (si pensi alle polemiche relative alla questione del “mandato
di cattura europeo”) in quanto organismi non legislativi - senza la preventiva
definizione di un quadro costituzionale che ne legittimi l’azione - di fatto
determinano il modo di agire e le scelte dei Parlamenti dei diversi paesi in
materia penale, cioè in quella materia in cui solo la legge (cioè il prodotto
del potere legislativo, del Parlamento) può intervenire per disciplinare la
possibilità di incidere sui casi e i modi che possono condurre alla limitazione
della libertà personale dei singoli cittadini.
Orbene la proposta di decisione quadro del Consiglio dell’unione europea
sulla lotta contro il terrorismo, nell’indicare che “è indispensabile che
gli Stati membri dell’Unione europea dispongano di una legislazione penale
efficace per lottare contro il terrorismo e che siano prese misure per
rafforzare la cooperazione internazionale contro il terrorismo”, detta all’art.3-
affinché sia adottata dagli stati membri - una definizione di “terrorismo”
così ampia ed indefinita da poter essere la base per una potenziale
criminalizzazione di forme di dissenso, di ribellione sociale, di disordini di
piazza.
Val la pena richiamare tale disposizione - contro cui si sono alzate
pochissime voci e che rischia di essere assunta nel nostro ordinamento penale, e
nell’ordinamento degli altri paesi europei, in un clima distratto e
disinteressato (salvo piangerne gli effetti in un momento successivo): “1.
Ciascuno stato membro adotta le misure necessarie per garantire che i seguenti
reati, definiti in base ai diritti nazionali, commessi da singoli individui o da
gruppi di persone contro uno o più paesi, contro le loro istituzioni o
popolazioni, a scopo intimidatorio e al fine di sovvertire o distruggere le
strutture politiche, economiche o sociali del paese, siano punibili come reati
terroristici;
a) l’omicidio;
b) le lesioni personali;
c) il sequestro di persona e la cattura di ostaggi;
d) le estorsioni;
e) i furti e le rapine;
f) l’occupazione abusiva o il danneggiamento di infrastrutture statali e
pubbliche, mezzi di trasporto, luoghi pubblici e beni;
g) la fabbricazione, il possesso, l’acquisto, il trasporto o la fornitura
di armi e esplosivi;
h) la diffusione di sostanze contaminanti o atte a provocare incendi,
inondazioni o esplosioni che arrechi danno alle persone, ai beni, agli animali e
all’ambiente;
i) l’intralcio o l’interruzione della fornitura di acqua, energia o altre
risorse fondamentali;
j) gli attentati mediante manomissione dei sistemi di informazione;
k) la minaccia di commettere uno dei reati di cui sopra;
l) la direzione di un’organizzazione terroristica;
m) la promozione,
il sostegno e la partecipazione ad un’organizzazione terroristica.
2. Ai fini della presente decisione quadro, per organizzazione terroristica
si intende un’organizzazione strutturata di più di due persone, stabilita da
tempo, che agisce in modo concertato allo scopo di commettere i reati
terroristici di cui al paragrafo 1, lettere da a) a k)”
Ed ancora, l’art.4 della decisione quadro recita: “Gli Stati prendono le
misure opportune per garantire che l’istigazione, l’aiuto, il
favoreggiamento e il tentativo di commettere reati terroristici siano punibili”.
Si tratta evidentemente del tentativo di inserimento nel
quadro legislativo penale dei diversi paesi che compongono l’Unione di
principi dalla possibile indefinita portata applicativa, avviato fuori da ogni
discussione, da organismi tecnici e non controllati, che ipotecano le scelte dei
parlamenti nazionali (secondo il principio per cui “o le misure vengono
adottate o ci si colloca fuori dal quadro europeo”).”