Altro luogo comune è quello secondo cui i nuovi canali on line
eliminerebbero l’intermediazione, creando un rapporto diretto tra produttore
e cliente. Anche se è vero che con le reti ipermediali tutti sono in contatto
con tutti, che l’accesso è diffuso e poco costoso, è vero anche che essendo
l’informazione sovrabbondante, diventa complesso il suo reperimento e la sua
conseguente analisi. La complessità del processo d’acquisto rimane alta, anche
se le variabili che influiscono su questa complessità sono diverse da quelle
che agiscono sul reperimento di informazioni fuori dalla rete: si passa da una
necessita’ di ottimizzazione della logistica del territorio ad una necessità
di ottimizzazione della logistica cognitiva. Le regole cambiano, le competenze
anche, e quindi anche se ci sarà bisogno ancora di intermediari, questi dovranno
avere una natura completamente diversa da quella degli intermediari commerciali
che siamo abituati a conoscere [1].
Le nuove tecnologie impongono, quindi, la costruzione di una
nuova intermediazione fatta di staff specializzati e risorse hardware e software
ad hoc, se è vero che nel lungo periodo i costi sarebbero inferiori a quelli
dalla tradizionale intermediazione, è vero anche che sarebbero richieste operazioni
di marketing altamente complesse e investimenti iniziali cospicui che solo le
grandi imprese potrebbero affrontare. Anche in questo caso viene danneggiata
la piccola impresa che difficilmente riesce ad avere le risorse necessarie per
operazioni di questo genere e i cui lavoratori non riescono a beneficiare di
adeguati investimenti in formazione professionale.
Non dimentichiamo poi che l’industria legata ad Internet è
caratterizzata dalla logica degli increasing returns, per cui le aziende
leader, ovvero quelle di maggiori dimensioni, riescono a distaccarsi sempre
più facilmente dalle concorrenti. Questo fenomeno tipico dei settori knowledge-based
trova una conferma nelle ultime analisi di mercato relative al fatturato mondiale
della pubblicità via Internet: l’80% di questo volume d’affari si concentra
su 35 siti [2].
4. Come cambia il mondo del lavoro: le nuove figure professionali
In questo sistema capitalistico la new economy è, quindi, espressione
di una società in cui gran parte del lavoro e del tempo libero che ha a che
fare con la comunicazione e la gestione delle informazioni è una percentuale
crescente di ogni attività umana. Idealmente in questo tipo di società la tecnologia
elettronica dovrebbe permettere di adattare i messaggi alle specifiche esigenze
del singolo: nella realtà invece l’informazione non assume quei criteri di democratizzazione,
ubiquità, indipendenza dal tempo e dallo strumento di accesso, perché l’innovazione,
intesa, quest’ultima, come processi di miglioramento dell’organizzazione del
lavoro, non è quasi mai al servizio della collettività.
Il mondo delle imprese e la conseguente organizzazione del
lavoro sono modificati giorno dopo giorno dagli sviluppi della telematica. La
Società dell’informazione fa sentire, infatti, i suoi effetti sulle attività
produttive e sulle tendenze del mondo del lavoro in diversi modi:
• Variano le qualifiche della forza lavoro, ma solo
perché cambia la manodopera richiesta;
• Aumenta lo sviluppo di nuove mansioni e attività,
ma queste non si vanno ad aggiungere alle precedenti, semplicemente le sostituiscono.
Se diamo uno sguardo alle condizioni del mercato del lavoro
in Europa notiamo che il tasso di disoccupazione in quest’area si mantiene su
livelli elevati, circa tre volte quelli registrati agli inizi degli anni settanta.
I problemi paiono concentrarsi in determinati gruppi, come le donne, i giovani,
i lavoratori anziani e quelli meno qualificati. La dimensione regionale della
disoccupazione è rilevante in alcuni paesi dell’area e la disoccupazione di
lunga durata è un problema grave, comune a tutti i paesi. Nell’area dell’euro
la disoccupazione è aumentata nel tempo: per la popolazione femminile il tasso
di disoccupazione si è mantenuto costantemente superiore a quello relativo ai
maschi. Fin dai primi anni ottanta il tasso di disoccupazione femminile si colloca
in media 4,9 punti percentuali al di sopra di quello maschile. L’elevato divario
che nell’area dell’euro persiste tra la disoccupazione maschile e quella femminile
indica l’esistenza di ostacoli strutturali alla crescita dell’occupazione, che
agiscono soprattutto a danno delle donne: un livello più basso di istruzione,
la mancanza di servizi di custodia dei bambini a prezzi accessibili, i regimi
fiscali e quelli assistenziali.
Un altro aspetto del mercato del lavoro nell’area dell’euro
è il continuo aumento del tasso di disoccupazione delle persone in età compresa
tra i 55 e i 59 anni. Alla fine degli anni 90 esso superava il 10 per cento,
un livello doppio rispetto a quello dei primi anni ottanta. Il fenomeno da attribuire
principalmente all’aumento della disoccupazione maschile in questa fascia di
età, deriva in parte dalle ristrutturazioni su vasta scala intervenute in taluni
comparti industriali. Le competenze dei lavoratori più anziani occupati nei
settori industriali in declino non coincidono con quelle richieste dai settori
in espansione.
Così pure l’evoluzione del mercato del lavoro negli ultimi
20 anni non ha favorito i lavoratori scarsamente qualificati, una categoria
il cui tasso di disoccupazione è aumentato: oltre il 22% dei disoccupati si
collocano nella categoria dei lavoratori scarsamente qualificati.


Infine, un altro importante aspetto dei mercati del lavoro
nell’area dell’euro è la forte incidenza della disoccupazione di lunga durata.
Nel 1998 nell’area suddetta i disoccupati da oltre un anno erano più del 50%
del totale, e quelli che lo erano da più di due anni sfioravano un terzo della
disoccupazione complessiva. Quello della disoccupazione di lunga durata è un
problema generalizzato nei mercati del lavoro dell’area dell’euro: la sua incidenza
è elevata in tutti gli stati membri, compresi quelli con un basso tasso di disoccupazione.
Una possibile spiegazione del fenomeno è che le caratteristiche strutturali
di questi mercati del lavoro hanno contribuito a far cristallizzare aumenti
di disoccupazione dovuti a shock economici sfavorevoli.
L’esistenza di una elevata disoccupazione può essere dovuta
a fenomeni di mismatch - cioè di diversa composizione della domanda e dell’offerta
di lavoro - che sorgono a vari livelli. Può accadere che vi siano posti disponibili
ma che i lavoratori restino disoccupati perché non dispongono delle qualifiche
richieste.
Gli elevati livelli di disoccupazione di lunga durata nell’area
dell’euro segnalano l’esistenza di una vasta fascia di lavoratori non facilmente
reintegrabili nel mercato del lavoro. Trascorrere un lungo periodo senza lavorare
può rendere obsoleto il capitale umano delle persone e far sì che le imprese
esitino ad assumerle [3].
Negli ultimi anni un fattore importante di creazione di posti
di lavoro nell’area dell’euro è stato l’espansione del lavoro a tempo parziale.
Tra il 1995 ed il 1999 esso è salito dal 14,2 al 16,7 per cento dell’occupazione
totale.
È aumentato anche il lavoro a tempo determinato che nel 1999
interessava il 14,9 per cento dei dipendenti a fronte del 13,2 per cento del
1995.
I cambiamenti tecnologici hanno inciso molto sull’organizzazione
del lavoro, in modo da rendere possibili i fenomeni ora citati. In particolare:
1. È aumentato il numero dei lavoratori a tempo parziale o
con contratto di lavoro atipico;
2. Sono cambiati i bisogni formativi e modalità di accesso
alla formazione per i lavoratori.
Quello che è stato e viene incentivato è il ricorso al c.d.
lavoro atipico, che in Italia comprende una gamma molto vasta di rapporti, che
va dal lavoro parasubordinato, al lavoro temporaneo (interinale), ai contratti
a tempo determinato, ai contratti di formazione e lavoro, a istituti specifici
come i piani di inserimento professionale, le borse lavoro, gli stages. Queste
ultime stanno a metà tra rapporto di lavoro breve e percorso formativo, alcune
di queste forme non attivando rapporti di lavoro vero e proprio, nemmeno a tempo
determinato, ma costituendo forme speciali di inserimento al solo scopo formativo.
I soggetti più interessati al lavoro atipico sono generalmente
i soggetti più deboli ovvero i più giovani, alcuni dei quali portatori di sapere
e professionalità innovative, utilmente spendibili sul mercato del lavoro e
i pensionati. Per una parte, anch’essa consistente, si tratta di persone che
acconsentono ad attivare tali forme di prestazione lavorativa, in assenza di
altre possibilità.; infatti non sono rari i rapporti di lavoro ‘’parasubordinato’’
che impegnano persone in attività non particolarmente qualificate.
I settori più interessati al lavoro parasubordinato sono quelli
connessi alle tecnologie dell’informazione e, più in generale, le attività tradizionalmente
definite ‘’di servizio’’ e quelle più esposte a processi di esternalizzazione.
Non è del tutto vera l’affermazione secondo cui si tratta solo
di attività ad alto contenuto professionale; l’attuale assenza di normative
consente anche abusi motivati solamente dalla convenienza economica dell’impresa
committente.
Anche immaginando acquisite norme di legge e norme contrattuali
in grado di eliminare le forme più immotivate le imprese guadagnano con tali
contratti in flessibilità e adattabilità del lavoro, mentre al lavoratore viene
prospettata l’idea di poter gestire con ampia autonomia i propri tempi di lavoro
e di vita, e di poter attivare rapporti di committenza con più imprese contemporaneamente.
Sta di fatto che chi è impegnato in questo tipo di attività
non è integrato nel ciclo produttivo e ciò ha conseguenze negative soprattutto
sul piano della formazione.
Occorre quindi in tempi brevi una legge che definisca almeno
i requisiti base per l’instaurarsi di un rapporto di lavoro cosiddetto di terzo
genere, né tradizionalmente subordinato, né tradizionalmente autonomo. Devono
essere fissati i diritti di queste persone e deve essere indicato in quali casi
è ammissibile e ragionevole attivare rapporti di lavoro di questo genere, e
in quali casi invece si tratta di una mascheratura e, se non proprio di lavoro
nero, di una forma anomala di occupazione. Inoltre la contrattazione collettiva
su questa base dovrà espandere il sistema delle tutele e anche dei controlli.
Risulta particolarmente significativo a questo riguardo il
confronto tra il 1997 ed il 1998 per quanto riguarda la scomposizione per tipo
di contratto [4]:
nel 1998 aumenta significativamente il personale in particolar modo per i contratti
cosiddetti atipici:
• A conferma del fatto che il sistema imprenditoriale punta
molto sulle forme di lavoro atipico nel corso del ’99 i contratti a tempo
indeterminato subiscono una rilevante riduzione passando a 117,5 in media
per azienda, con una diminuzione di quasi il 9% rispetto all’anno precedente.
Tra i contratti part-time, quelli a tempo indeterminato sono i più numerosi
(2,6 persone coinvolte nel ’97 e 2,9 nel ’98), anche in questo caso l’andamento
previsto per quest’anno è in diminuzione.
• Le persone contrattualizzate a tempo determinato passano
da 1,9 a 2,3 in media per azienda nel 1998, ed un’ulteriore crescita è attesa
per il ’99. Tendenza opposta la troviamo nei contratti a tempo determinato part-time
(da 0,8 addetti per azienda nel ’97 a 0,4 nel ’99).
• I contratti di formazione e lavoro a tempo pieno passano
da 11,3 nel ’97 a 17 nel ’98, i valori stimati per il 1999 però segnano una
diminuzione (10,3). Il numero delle persone assunte con contratto di formazione
e lavoro part-time è in numero davvero irrilevante ed in diminuzione nel corso
del 1999.
• Gli occupati in stage erano 0,2 in media nel ’97, diventano
0,9 per azienda nel ’98 e nel corso del 1999 raggiungono il valore medio di
uno stagista per azienda.
• Molto significativo è l’aumento dei contratti di collaborazione.
I collaboratori esterni passano da 2,7 per azienda nel ’97 a 4,3 nel ’98 con
un aumento del 59,3%. Anche i collaboratori a tempo parziale sono in forte crescita,
seppur interessando solo una minima parte degli occupati (circa 0,2 per azienda).
Il problema dell’adeguamento professionale dei lavoratori è
sempre più evidente: serve manodopera qualificata e quindi bisogna urgentemente
confrontarsi con la formazione di esperti in tecnologie della comunicazione
e informazione. In sostanza, manca la “manodopera” sofisticata richiesta dall’economia
del Terzo Millennio. La domanda di personale qualificato per lavorare sul Web
cresce a ritmi esponenziali e non trova sbocchi sufficienti: oltre mezzo milione
di posti di lavoro, secondo il rapporto Eito, non sono stati riempiti nel 1998
per la mancanza di risorse umane adeguate. Agli attuali ritmi di crescita, il
gap è destinato ad allargarsi: nel 2002, a meno di interventi di ampio respiro
nella formazione, oltre 1,6 milioni di impieghi non troveranno candidati nei
paesi europei. “Le conseguenze sono allarmanti: riduzione del tasso di crescita
dell’economia, limitato aumento della produttività, crescente utilizzo di risorse
di origine extra-europea. In questo settore, le iniziative pubbliche e private
sono ancora insufficienti; è necessario moltiplicare gli sforzi e programmare
enormi investimenti nell’addestramento, nell’istruzione e nella riqualificazione”
[5].
Risulta evidente che con l’applicazione in massa delle nuove
tecnologie informatiche non scompare il lavoro, come invece spesso da più parti
si sente affermare: scompare invece il “fordismo”, la forma di organizzazione
produttiva che ha dominato il ’900. La nuova organizzazione del lavoro sostituisce
la flessibilità all’antica rigidità del fordismo che favoriva il gesto
ripetitivo e la subordinazione ad una gerarchia centralizzata. Questo non deve
tuttavia confortare poichè si crea quello che è stato definito “cybertaylorismo”,
in quanto le nuove tecnologie eliminano i tempi morti e aumentano le possibilità
di controllo.
[1] Mandelli Andreina, op. cit.
[2] Botti Carolina, Cervini Paolo, “La rivoluzione bussa al computer”,
L’IMPRESA, n.9/97.
[3] “Evoluzione e caratteristiche strutturali dei mercati
del lavoro nell’area dell’euro”, Bollettino mensile della Banca Centrale Europea,
maggio 2000.
[4] Informatica e lavoro. Dinamiche Occupazionali nelle Aziende Italiane
di Software e Servizi IT, Ricerca 1999 a cura di IDC Italia, in: http://www.ilsole24ore.it/24oreinformatica/biblioteca/
[5] Rapporto Eito (European information technology observarory) 2000, “Italia
star della crescita tecnologica”, in: http://www. ilsole24ore.it/informatica