In questo processo anche la P.A. è chiamata a giocare un ruolo
determinante, soprattutto per quanto riguarda la garanzia della qualità delle
informazioni. Questo ruolo deve essere interpretato, prima di tutto, fornendo
le informazioni necessarie per permettere agli utenti di valutare l’idoneità
dei dati in raffronto alle loro esigenze. Ciò diventa sempre più necessario
in una situazione dove vanno aumentando i segnali informativi indirizzati ai
cittadini privati ed ai singoli operatori economici [1].
Per questo, dopo un lungo periodo in cui la propaganda e l’immagine
hanno sostituito il diritto ad essere informati, la comunicazione pubblica ha
rimesso il cittadino e i suoi bisogni al centro di ogni processo.
Le profonde trasformazioni che stanno interessando la P.A.
riguardano anche l’aspetto tecnologico della diffusione delle informazioni:
questo vuol dire rendere possibile l’immissione e la gestione di grandi quantità
di dati mediante le tecniche di archiviazione tramite database, e permettere
lo sfruttamento delle possibilità multimediali che offrono le nuove generazioni
di computer.
Per multimedialità si intende “la combinazione e integrazione
tecnica-funzionale di diverse forme, tecniche e mezzi per il trattamento (normalmente
digitale) dei diversi tipi di informazione, voce, dati, testi, grafici, immagini
fisse e in movimento. Le applicazioni multimediali sono normalmente interattive
e devono combinare il trattamento e la trasmissione di immagini con suoni, testi
e grafici” [2].
La distribuzione delle informazioni, il trasferimento delle
conoscenze tecniche e scientifiche, sono condizioni di base per recuperare la
competitività. Le reti europee di comunicazione ad alta velocità (che siano
cioè in grado di introdurre i nuovi servizi multimediali che integrano le trasmissioni
di dati e immagini con i video filmati) sono, tuttavia, ancora frammentate.
Lo sviluppo dei prodotti è sempre più strettamente collegato
a quello dei processi di produzione e la P.A. è un attore importante per la
diffusione dell’innovazione. La qualità e la velocità nell’erogazione dei servizi
pubblici non può prescindere dalla costituzione di una rete di comunicazioni
per lo scambio di dati, testi, documenti fra gli uffici dell’amministrazione
e fra questi e gli utenti.
Questa nuova idea di comunicazione ha dovuto ricorrere a quelle
tecnologie che le permettessero di essere rapida, tempestiva e facilmente utilizzabile.
Non a caso il governo italiano ha deciso di investire nella P.A. per il 1997-1999
ben 13.590 miliardi [3].
Sempre in base al Rapporto Istat del 1998, nel corso del 1996
le amministrazioni pubbliche hanno mostrato, in complesso, comportamenti conformi
con le linee strategiche elaborate dall’Autorità per l’informatica nella Pubblica
amministrazione (AIPA), istituita nel 1993 con il compito di promuovere, coordinare
e pianificare lo sviluppo dei sistemi informativi automatizzati. Il numero delle
postazioni di lavoro informatizzate è aumentato di oltre il 50%. In generale
le esperienze innovative realizzate dalle amministrazioni locali sono di due
tipi: il collegamento telematico con archivi di altri enti e la creazione di
sportelli self-service distribuiti sul territorio. Nel nostro paese, le esperienze
di attivazione di servizi telematici da parte degli enti pubblici locali rimandano
a due tipi di soluzioni diverse: il sistema orientato a Internet, aperto all’intera
rete e il sistema che forma un network a sé stante circoscritto alla realtà
locale (rete civica).
Da una rilevazione Istat del marzo 1998 (vedi tab. 1) risulta
che 623 comuni su 8.102 (7,7%) dispongono di un sito Internet, di cui 94 capoluoghi
di provincia su 103 (oltre 91%) [4]. (tab. 1).
Gli utenti in grado di accedere a queste nuove modalità di
servizio sono solo quelli attrezzati, cioè le persone che hanno un PC ed un
collegamento ad Internet.
Stando alle cifre circa il 17% delle famiglie italiane dispone
di un personal computer e solo il 2,3% di un accesso ad Internet. L’indice di
penetrazione di Internet nelle famiglie che hanno un PC è dunque circa il 13%
mentre in altri paesi europei è molto più alto (nel Regno Unito è 4,5 volte
quello dell’Italia, in Francia 3,5 volte). A conferma di questi dati si vedano
le tabelle nn. 4, 5, 6 e 7 seguenti.
La convergenza tra i settori delle telecomunicazioni, televisivo
e informatico ha dato origine ad una diversa organizzazione della società, strettamente
legata alla diffusione delle informazioni, indicata, come già accennato in precedenza,
in “società dell’informazione” [5].
La “società dell’informazione” che sta emergendo in questi
anni recenti, è caratterizzata da una gestione, una qualità ed una velocità
dell’informazione tali da rappresentare i fattori chiave per una maggiore competitività.
Tra le innovazioni tecnologiche che, soprattutto nell’ultimo
decennio, hanno reso possibile l’avvento della “società dell’informazione” va
ricordato il passaggio dalla tecnologia analogica (conversione del segnale in
onde elettromagnetiche) a quella digitale. La digitalizzazione delle informazioni,
infatti, oltre all’elevato livello di comprimibilità dei dati, permette un miglioramento
quantitativo e qualitativo della capacità di trasmissione sviluppando le modalità
di elaborazione dei dati [6].
Con l’avvento dei moderni macchinari di data-processing, gli
utenti sono ora in grado di utilizzare nuove tecniche per l’elaborazione dei
dati. Ciò contribuisce alla creazione di nuove teorie, metodologie e, soprattutto
all’incremento della domanda orientata ad una maggiore quantità di dati disponibili.
L’informatica ha messo a disposizione gli strumenti e le conoscenze
necessarie per affrontare in modo totalmente rivoluzionario il problema del
reperimento delle informazioni.
L’interattività, che caratterizza la comunicazione via Internet,
sta inoltre capovolgendo il concetto stesso di informazione. Ogni navigatore
della rete può, in qualsiasi momento, diventare a sua volta fornitore di informazioni
per gli altri, in un gioco continuo di scambio di impulsi che è ben rappresentato
dal concetto di rete. La rete rappresenta sicuramente un ottimo strumento per
diffondere le informazioni e ampliare la democrazia; tuttavia la maggior parte
dell’attenzione dei visitatori e delle aziende che fanno pubblicità si concentra
su pochi grandi nomi. Un altro grosso problema riguarda l’esclusione di interi
gruppi di cittadini nonché di interi paesi dalle potenzialità commerciali e
sociali della rete. Non è un caso che molti governi di stati poco avanzati dal
punto di vista tecnologico stiano impegnando grosse risorse per collegare alla
rete scuole e aziende [7].
Nel 1976 Marc Uri Porat credette di poter dimostrare che l’intera
società americana era divenuta una “economia dell’informazione”: la percentuale
elevata di lavoratori dell’informazione (cioè coloro che producono o manipolano
la conoscenza: insegnanti, uffici studi, servizi telematici, mass media, etc.)
è d’altra parte considerata come caratteristica del passaggio ad una società
post-industriale [8].
La terziarizzazione, la flessibilizzazione dell’economia e
la ristrutturazione capitalistica, tipiche della società post-industriale, hanno
provocato in questi ultimi anni un numero sempre crescente di lavoratori “atipici”
che sono costretti, a causa della mancanza di lavoro regolare, ad accettare
ogni sorta di occupazione con forti connotati di flessibilità delle mansioni
e flessibilità oraria [9]. Ad esempio, la
rilevata maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro è una conseguenza
della flessibilità, un fenomeno che si accompagna ad alti livelli di precarizzazione,
ad un peggioramento delle condizioni di lavoro, ad accettare lavori non garantiti.
Dai dati Istat dell’aprile
1999 sulle forze lavoro emerge che il progresso congiunturale dell’occupazione
è attribuibile essenzialmente all’espansione del settore terziario.
Il settore terziario continua a rappresentare il volano dell’occupazione
complessiva, confermando una dinamica espansiva che si era già registrata alla
fine dello scorso anno.
L’allargamento della base occupazionale ha beneficiato della
nuova forte crescita dell’occupazione a termine la cui incidenza sul totale
degli occupati alle dipendenze è passata in un anno dall’8,6% al 10,6%. La diffusione
del lavoro temporaneo si è incrementata in particolare nel Nord (dal 6,7% del
1998 al 9,3 del 1999) e nel settore dei servizi (dall’8% al 10,5%). Sul piano
delle caratteristiche demografiche è soprattutto tra i giovani dai 15 ai 29
anni e fra le donne che l’occupazione temporanea è risultata in aumento.
La rivoluzione digitale, quindi, strettamente legata alla terziarizzazione
dell’economia, pone problemi anche sotto il profilo dei lavori, delle professionalità
e delle competenze. L’introduzione di tecnologie digitali all’interno dei giornali,
per esempio, ha imposto un continuo aggiornamento a fotolitisti e compositori
ed ha sconvolto la struttura interna delle case editrici, assottigliandone l’organico
ed incentivando il decentramento delle varie fasi di lavorazione. La fase della
progettazione grafica, quella della redazione e correzione bozze si spostano
sempre più all’esterno delle case editrici. Da questa rivoluzione sono nati
numerosi nuovi soggetti professionali che ora costituiscono i nuovi referenti
per le case editrici: il tele-lavoro è così la nuova realtà lavorativa creata
dalle nuove tecnologie di comunicazione via modem. A questi rapidissimi cambiamenti
non corrispondono, purtroppo, ancora adattamenti adeguati delle normative che
regolano il settore. La figura del prestatore d’opera occasionale è quanto di
più indefinito esista nei vari regolamenti. Di fatto viene incentivata la costituzione
di ditte individuali con propria partita IVA, cosa che limita soprattutto l’ingresso
nel mondo del lavoro di soggetti giovani.
Una conseguenza di questo processo di adattamento del mondo
del lavoro alle mutate condizioni produttive è la perdita di posti di lavoro:
infatti fra le caratteristiche delle nuove tecnologie c’è la distruzione di
tutte le gerarchie intermedie senza alcuna sostituzione delle stesse.
La rivoluzione digitale riguarda tutto il mondo del lavoro
e lo coinvolge in due modi essenziali: da una parte offre incrementi di produttività
superiori a quelli possibili in assenza di nuove tecnologie (senza però dare
una prospettiva rassicurante in termini quantitativi per l’occupazione), dall’altra
ha in sé la capacità di deregolare tutte le norme finora esistenti a tutela
del lavoro e dei lavoratori.
2. Mercato dell’informazione e democrazia
La società dell’informazione si basa sull’informazione in ogni
sua forma, tipo e contenuto. In tale contesto l’informazione ha un effettivo
valore, non solo economico ma anche strategico, sociale e funzionale. L’informazione
è un bene, un patrimonio per un soggetto che la possiede e la tratta e su di
essa si può fare del valore aggiunto nella catena del valore che, partendo dal
suo contenuto, la porta all’utente finale nella forma, nel momento e con lo
strumenti desiderati [10].
In realtà a tutto il sistema dell’informazione è possibile
attribuire la nozione di “pubblica utilità”, nel senso che i prodotti che ne
derivano sono offerti all’opinione pubblica, sia pure in cambio di un valore
economico che il mercato giudica equo; e altresì nel senso che i contenuti di
tali prodotti si riferiscono a materia di pubblica utilità. Per questo la natura
stessa della democrazia politica ed economica di una società moderna non potrebbe
sussistere se mancassero tali prodotti e il senso ad essi attribuibile [11], anche se ciò non risolve l’apparente
contraddizione del carattere privato delle fonti da cui tali prodotti scaturiscono:
questa contraddizione costituisce, del resto, uno dei tanti livelli di complessità
del sistema attuale dell’informazione.
Le nuove tecnologie informatiche coinvolgono l’intero settore
della comunicazione e dell’informazione e quindi anche quello dell’editoria.
Esiste però a questo proposito il problema delle grandi concentrazioni economiche
e finanziarie che fa presumere che il processo legato allo sviluppo tecnologico
conduca il settore editoriale ad operare secondo logiche strettamente di mercato
anzichè legate alla qualità del prodotto. Per questo è stato detto, e ci sembra
giusto riaffermarlo, che all’interno del settore editoriale, come in altri punti
strategici della comunicazione, c’è bisogno di regole ed indirizzi per capire
qual è il tipo di sviluppo e di democrazia che si vuole dare all’interno dell’informazione.
Importante e fondamentale è, quindi, il rispetto dell’articolo 21 della nostra
Costituzione, per la democrazia del nostro Paese affinché le idee e la conoscenza
siano un bene accessibile a chiunque.
Può essere interessante, allora, andare a vedere come è strutturato
il mercato dell’informazione (quello cioè in cui le informazioni vengono scambiate),
quanto sia realmente concorrenziale, quali siano gli attori fondamentali che
lo alimentano.
Innanzitutto va detto che, come per altri tipi di mercato,
anche su quello dell’informazione agiscono una domanda ed un’offerta, caratterizzata
ciascuna da attori ben determinati.
Sul versante della domanda possiamo distinguere 2 filoni principali:
quello degli enti e delle imprese (utenti di informazioni) e quello dei cittadini-utenti,
che costituiscono la c.d. domanda domestico-individuale.
Sul lato dell’offerta possiamo invece individuare accanto ai
media tradizionali (TV, radio, quotidiani e periodici, libri) il fenomeno Internet.
[1] Alberto Zuliani, Economic
and Social challenges to statistics in the 21st century, in: “Economic and
Social challenges in the 21st century: Statistical Implications”, Eurostat/Istat,
Roma, 1997.
[2] “La tecnologia dell’informazione e della comunicazione in Italia.
Rapporto 1996”, (Forum per la Tecnologia dell’Informazione), Milano, 1997.
[3] “La tecnologia dell’informazione e della comunicazione
in Italia. Rapporto 1998”, (Forum per la Tecnologia dell’Informazione),
Milano, 1998.
[4] Istat, Rapporto sull’Italia.Edizione 1998,
Bologna, Il Mulino, 1998.
[5] Ester Arisi-Anna Marra, Multimedialità,
strutture di comunicazione e concorrenza, Rivista Il Mulino, 2/97.
[6] Ester Arisi-Anna Marra, Multimedialità, strutture
di comunicazione e concorrenza, Rivista Il Mulino, n. 2/97.
[7] Andrea Piersanti, Vittorio Roidi (a cura di), “Giornalisti
nella rete. Internet dentro e fuori le redazioni giornalistiche”, Roma, 1999.
[8] Jean-Pierre Durand, Robert Weil, “Sociologie contemporaine”,
Vigot, 1989.
[9] Rita Martufi, Luciano Vasapollo, “Profit State, redistribuzione
dell’accumulazione e reddito sociale minimo”, Napoli, 1999.
[10] “La tecnologia dell’informazione e della comunicazione
in Italia. Rapporto 1996”, (Forum per la Tecnologia dell’Informazione),
Milano, 1997.
[11] Rolando
Stefano (a cura di), “La comunicazione pubblica in Italia. Realtà e prospettive
di un settore strategico”, 1995, Milano.